Disturbi alimentari, atleti uomini e donne a rischio ma se ne parla ancora troppo poco. La dietologa Valeria Galfano: «Ogni organizzazione sportiva dovrebbe stabilire linee guida per l’identificazione precoce e la prevenzione»

Perché chi pratica sport a livello agonistico può cadere nei disturbi legati ai comportamenti alimentari? Quali sono le conseguenze? E quali gli sport in cui si è maggiormente a rischio? Ma soprattutto: come si può intervenire? Le questioni principali affrontate dalla specialista
disturbi alimentari
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Anoressia, bulimia e vari altri disturbi del comportamento alimentare colpiscono anche chi pratica sport a livello agonistico, sebbene se ne parli ancora troppo poco.
Ad affrontare la questione è la dottoressa Valeria Galfano, medico chirurgo Specialista in Scienza dell’Alimentazione e Dietetica, che dedica ampio spazio al fenomeno all'interno del suo libro Dieta e allenamento al femminile (Edizioni Lswr).

I disturbi alimentari nelle atlete e negli atleti

Nel suo volume, la dottoressa Galfano spiega come un'alimentazione disordinata e disturbi alimentari negli atleti si verifichino con stime che variano dallo 0 al 19% negli uomini e dal 6 al 45% nelle donne.
Ad aumentare questi disordini alimentari c'è spesso un ambiente caratterizzato da una forte pressione per perdere o aumentare il peso corporeo, e per mantenere un controllo meticoloso della composizione corporea. «Per migliorare la performance sportiva e massimizzare i risultati dell’allenamento devono comunque mantenere un forte controllo sul peso, sulla composizione corporea e sull’alimentazione, impegno che aumenta il rischio di sviluppare o aggravare un disturbo alimentare, spingendoli ad adottare severi regimi alimentari, svolgere esercizio fisico estremo o abusare di sostanze illegali e pericolose per la salute», evidenzia in particolare la dietologa Galfano.
Le caratteristiche personali che sono alla base di una prestazione atletica di successo, combinate con l’ambiente sportivo, rendono pertanto gli atleti più vulnerabili allo sviluppo dei disturbi alimentari e al peggioramento dei sintomi.

Le cause dei disturbi alimentari nelle atlete e negli atleti

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I fattori di rischio per l’alimentazione disordinata e i disturbi alimentari negli atleti sono di ordine biologico, psicologico, socioculturale, di genere e legati alla specifica disciplina sportiva.
Si tratta principalmente di fattori «legati alle competizioni sportive ad alto livello, alle discipline che privilegiano un corpo estremamente magro e all’insoddisfazione corporea», precisa l'esperta.

Quali sport possono maggiormente predisporre ai disturbi alimentari?

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«Gli sport maggiormente a rischio», prosegue la dietologa, «sono quelli estetici, in cui si gareggia secondo le classi di peso, quelli in cui bisogna ottenere dimensioni corporee stereotipate o raggiungere uno specifico rapporto tra muscoli e grasso, e quelli in cui è prevista una giuria».

Tra gli sport che maggiormente predispongono ai disturbi alimentari bisogna menzionare il bodybuilding, la boxe, il wrestling, la ginnastica artistica, le corse di cavalli, i tuffi, il pattinaggio artistico, la danza, l’atletica, la corsa e il nuoto. «Sebbene si assista a una crescente apertura verso i problemi di salute mentale nello sport d’élite, esistono ancora ostacoli all’identificazione precoce e al trattamento dei disturbi alimentari», evidenzia Galfano.

Quali rischi per la salute?

Uno dei rischi per la salute è «il potenziale sviluppo di una carenza energetica relativa nello sport. Oltre al danno diretto delle funzioni fisiologica e psicologica, l’alimentazione disordinata può aumentare il rischio di malattie e infortuni, compromettere la qualità dell’allenamento e interferire indirettamente con gli obiettivi della competizione. Le conseguenze dei comportamenti alimentari anomali possono includere squilibri elettrolitici, disidratazione, carenze nutrizionali, problemi gastrointestinali e dentali, sanguinamento gengivale, ulcerazione gastrica e duodenale, gonfiore addominale, costipazione», sottolinea la specialista, aggiungendo che «si possono manifestare anche problemi di salute mentale come depressione, ansia, disturbi della personalità, abuso di sostanze, autolesionismo e idea suicidaria».

Ma c'è di più: le pratiche dietetiche scorrette e l’esercizio fisico eccessivo aumentano il rischio di fratture, lesioni articolari e muscolo-tendinee, infezioni, alterazioni del sonno, riduzione del rendimento scolastico o lavorativo e isolamento sociale. «Se l’alimentazione disordinata è associata alla bassa disponibilità di energia può verificarsi la soppressione dei processi fisiologici, con conseguenti danni alla salute delle ossa, alla funzione mestruale, al sistema endocrino, al metabolismo, allo stato ematologico, alla crescita, allo sviluppo, al benessere psicologico e ai sistemi cardiovascolare, gastrointestinale e immunologico», chiarisce la dietologa. «Le conseguenze a lungo termine della bassa disponibilità di energia sono particolarmente critiche per l’atleta adolescente, poiché influenzano il picco di densità minerale ossea e la statura, nonché lo sviluppo neurologico e del sistema riproduttivo. Le conseguenze sulla prestazione atletica possono derivare dall’interruzione o da una ridotta efficacia degli allenamenti, causate per esempio dall’aumento delle malattie e degli infortuni, dalla riduzione della capacità di allenamento, di recupero e di adattamento, e anche da disturbi acuti nel giorno della competizione come la riduzione della coordinazione, della concentrazione, della forza, della resistenza e un peggioramento dell’umore».

Come intervenire?

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I disturbi alimentari presentano uno dei più alti tassi di mortalità tra tutte le malattie mentali, e questo evidenzia l’importanza degli sforzi di prevenzione, diagnosi tempestiva e trattamento specializzato. «È fondamentale che il personale coinvolto sia a conoscenza dei fattori di rischio e dei segnali di pericolo. Nel sistema sportivo ogni figura ha un ruolo da svolgere nel riconoscimento precoce, e per la valutazione clinica del singolo caso chiunque può incoraggiare gli atleti a rivolgersi a un membro del team multidisciplinare, che dovrebbe essere composto dal medico sportivo, dallo specialista in scienza dell’alimentazione e dallo psicologo», spiega Galfano.

La prevenzione dei disturbi alimentari

Per promuovere la salute degli atleti, a detta della specialista, è della massima importanza creare un ambiente e una cultura che contribuiscano alla prevenzione dei disturbi alimentari. «Per ridurre al minimo il rischio e l’incidenza di queste patologie i punti chiave della prevenzione devono includere la promozione della salute e del benessere, la riduzione dell’enfasi sul peso corporeo e comprendere che i disturbi alimentari rappresentano un reale problema di salute e di sicurezza. La prevenzione può anche comportare la modifica delle regole sportive malsane e l’identificazione delle strategie atte a mitigare le regole esistenti considerate a rischio», precisa. «I programmi educativi rappresentano il miglior metodo di prevenzione primaria, e gli obiettivi principali dell’educazione devono ridurre lo stigma, promuovere le relazioni sane con il cibo e con il corpo, incoraggiare una discussione aperta e onesta, educare sulle potenziali conseguenze sulla salute, sulle prestazioni fisiche e informare sulle ottimali strategie nutrizionali. Le migliori pratiche in quest’area vedrebbero gli allenatori, i membri dello staff sportivo e i giudici di gara sottoposti a un programma educativo iniziale completo e sessioni regolari di aggiornamento» .

Gli atleti di entrambi i sessi - si legge nel manuale realizzato dalla dottoressa Galfano - possono avere un’immagine corporea in conflitto con le norme culturali e con gli stereotipi di genere. Inoltre, «i cambiamenti biologici che si verificano durante la pubertà e l’adolescenza possono contrastare con il fisico ideale di una specifica disciplina sportiva, rendendo tale periodo particolarmente a rischio per lo sviluppo dei disturbi alimentari. Ogni organizzazione sportiva dovrebbe essere consapevole dell’aumento della prevalenza dei disturbi alimentari negli atleti d’élite, e stabilire linee guida per l’identificazione precoce e per la prevenzione».